Chiara Ferragni, il pandoro e la beneficenza

All’alba dei 60 e occupandomi di una tematica che mi porta a vedere sempre l’aspetto cupo delle situazioni ho deciso che durante le vacanze è bene staccare del tutto. Ho quindi seguito senza particolare assiduità la vicenda di Chiara Ferragni leggendo di volta in volta qualche articolo di giornale, le tante stupidaggini scritte da neo “esperti di crisis management” e i post/interviste sicuramente più autorevoli di Daniele Chieffi, Matteo Flora, Lorenzo Brufani, Francesca Concina e Irene Proto.

Sulla vicenda sono state spese molte parole e il mio intento qui è di aggiungere valore alla riflessione non quello di ricapitolare la vicenda. Perché come dico sempre, imparare dalle crisi degli altri e il modo migliore per allenarsi ad affrontare le proprie.

Comunicazione di crisi o gestione di crisi?

Il primo aspetto che desidero sottolineare è che in tutti gli articoli/post che ho letto gli autori si sono soffermati sugli aspetti di comunicazione di crisi anziché su quelli relativi alla gestione. Spesso nel nostro Paese i due termini vengono confusi ma come mi piace ricordare «nella crisi la comunicazione non è l’azione del comunicare ma è comunicare l’azione». Questo significa che a fronte degli accadimenti prima si elabora un piano di azione e poi, man mano che le azioni vengono implementate, queste vengono accompagnate dalla comunicazione di crisi.

Quando valutiamo la risposta di Chiara Ferragni agli eventi questo è un punto importante da tenere a mente.

Gestione della reputazione o gestione della crisi?

Nel corso degli ultimi 20 anni si è posta sempre maggiore attenzione alla gestione della reputazione di aziende, manager e altre figure pubbliche tant’è che è nata una vera e propria disciplina. Tuttavia anche in questo caso si tende a confondere la gestione della reputazione con la gestione di crisi. Si tratta di due discipline distinte anche se interconnesse. La gestione della reputazione è «organizzazione centrica» e si pone come obiettivo quello di «costruire» e mantenere una buona immagine sul lungo termine. La gestione di crisi è «stakeholder centrica», il suo obiettivo è quello di mitigare eventi potenzialmente critici nel più breve tempo possibile.

La differenza è forse sottile ma cruciale quando si affrontano le crisi perché richiede un cambio di paradigma. Quello che conta non è la percezione del singolo o dell’organizzazione coinvolto/a ma bensì quella dei loro stakeholder. Le azioni quindi, e di conseguenza la comunicazione di accompagnamento, devono essere pensate per rispondere alla percezione degli stakeholder (si veda anche l’articolo di Daniele Chieffi).

Segnali deboli

Fatte queste premesse cerchiamo ora di riflettere sul caso. Il mantra della gestione di crisi è la capacità di anticipare. Quasi tutte le crisi sono caratterizzate da quelli che vengono chiamati segnali deboli o prodromi. A volte questi sono palesi, altre volte invece non è possibile identificarli e la crisi ci coglie dunque di sorpresa. Saper cogliere i segnali deboli significa essere in grado di anticipare.

L’anticipazione ha tuttavia una seconda dimensione: quella della preparazione. Se la mia organizzazione ha una cultura “sensibile alla crisi” e si è preparata, è in grado di rispondere anche ad eventi improvvisi con una logica di anticipazione poiché i meccanismi e i team sono allenati e il poco tempo a disposizione può essere utilizzato per riflettere in termini di “worst case scenario” o di scenari multipli. Questo permette di elaborare velocemente un primo piano di azioni.

Per quanto riguarda Chiara Ferragni, i segnali non erano palesi erano “luminosi” eppure sono stati ignorati. In gergo si parla di un elefante nero, un evento al di fuori di un’organizzazione che è difficile da negare e che può portare a uno o più eventi altamente probabili, impattanti per l’organizzazione, ampiamente previsti… e tuttavia ignorati dall’organizzazione in questione.

Qui entra in gioco l’incompetenza (si veda anche il post di Lorenzo Brufani sotto) della influencer, dei suoi consulenti e collaboratori. L’11 luglio infatti l’Antitrust comunica alle società di Chiara Ferragni l’avvio del procedimento istruttorio. L’influencer spreca 5 preziosissimi mesi o non rendendosi conto della portata del problema o decidendo di ignorare le voci di chi forse aveva percepito il pericolo.

Come altri hanno sottolineato questo è il tipico esempio di come una problematica (issue) per quanto spinosa se non gestita possa trasformarsi in una crisi.

Il cono d’ombra

Uno degli aspetti più interessanti di questa vicenda mi sembra il «cono d’ombra» che fino a ieri, quando la procura di Milano ha ufficialmente inserito nella lista delle persone indagate Alessandra Balocco ad di Balocco Spa, ha avvolto le due aziende ad oggi coinvolte: Balocco Spa e Dolci Preziosi (Cerealitalia I.D. S.p.A.).

La massima attenzione mediatica si è infatti concentrata – a torto se posso aggiungere – solo sulla influencer relegando in zona d’ombra le aziende coinvolte. Un colpo di fortuna (sempre fino a ieri) per entrambe ma che logicamente non poteva durare. Anche loro avrebbero dovuto ragionare per tempo in termini di gestione di crisi sviluppando un piano d’azione, cosa che non hanno fatto.

Vorrei ora dedicare 4 righe a Balocco Spa. Società a conduzione familiare da 4 generazioni è una di quelle classiche PMI dove la comunicazione non esiste e l’unica cosa che si fa è marketing. Il sito non ha una sezione dedicata all’ufficio stampa, nessuno ha pensato di rimuovere la tag line «fate i buoni» dallo stesso e nel mezzo della bufera l’AD e Presidente non ha saputo fare di meglio che rilasciare questa imbarazzante video intervista ad un sito con 103 iscritti. Scrivo questo perché un’azienda che opera nel settore alimentare è sempre esposta a rischi associati ai processi di produzione e non avere una sezione del sito dedicata all’ufficio stampa indica chiaramente che non si è ragionato e non ci si è preparati. Inoltre, un’azienda storica a conduzione familiare dovrebbe ispirarsi a principi e valori che mi sembra l’ufficio marketing non abbia bene assimilato.

Attendiamoci comunque altri sviluppi sul fronte delle indagini sui partner commerciali e sulle pratiche delle società di Chiara Ferragni.

Il video

Molte le critiche al video di “scuse” postato da Chiara Ferragni. Porgere le proprie scuse rientra nelle best practice della gestione di crisi ma queste devono essere (1) autentiche (2) supportate da azioni concrete.

Sono 3 gli errori fondamentali del video dell’influencer: la tempistica, i contenuti, la modalità. Rispetto al tema tempistica ho già parlato di anticipazione. Questo era un video da pubblicare al più tardi ad inizio settembre ma preferibilmente subito dopo la notifica dell’Antitrust. Sulle modalità (look, abbigliamento ecc) molti si sono già espressi e tendo a concordare: tutto costruito a tavolino nulla di autentico.

Vorrei tuttavia soffermarmi sui contenuti perché questa è sicuramente la parte più interessante. La sintetizzo sotto:

  • una totale mancanza di empatia nei confronti dei bambini malati e dei loro familiari che avrebbero dovuto beneficiare delle iniziative di Chiara Ferragni (si veda riflessione sotto).
  • imputare l’«errore» alla comunicazione anzichè ammettere di aver commesso un errore;
  • riparare con un «donerò» anziché un «ho donato»;
  • parlare dell’impugnazione del decreto della AGCM (considerandolo spropositato e ingiusto), tematica che poco ha a che fare con le scuse;
  • scaricare le responsabilità su altri: «avrei potuto vigilare meglio»;
  • tirare in ballo la propria famiglia e i valori (non suffragati dai comportamenti dell’influencer);
  • annunciare che nei giorni successivi parlerà con l’Ospedale Regina Margherita (anzichè averlo fatto) promettendo aggiornamenti che ad oggi non sono stati forniti (anche se i fondi siano stati effettivamente donati il giorno successivo si è saputo ieri);
  • a 20 giorni dal video non abbiamo visto generare da Chiara Ferragni nulla di «positivo e costruttivo».

E’ utile ricordare che una delle prime regole della gestione di crisi è l’assunzione diretta di «responsabilità» che non significa assumersi una «colpa» ma fare quello che è eticamente corretto nei confronti delle persone più colpite (che non sono i suoi follower). Chiara Ferragni ha invece preferito scegliere la strada dello «scaricabarile», tecnica ampiamente utilizzata nel nostro Paese (Linate, Costa Concordia, Autostrade, fallimenti bancari ecc).

Una comunicazione di crisi non sostenibile – annuncio ma non do seguito – (prima regola della comunicazione di crisi deve essere sostenibile per assicurare credibilità e rinsaladare la fiducia con gli stakeholder), con successive scelte (che non oso chiamare strategiche) discutibili a partire dalla fase di silenzio social; l’assemblaggio del team di super consulenti (tra i quali non figura un crisis manager ma solo un’agenzia di comunicazione); i nuovi post su IG (Mi siete mancati ❤️. Come state?) dopo il video e il periodo sabbatico;

la successiva pubblicazione di storie (self centric) come nulla fosse accaduto; fino alle odierne dichiarazioni di rito quando finisci indagata:

«Sono serena perché ho sempre agito in buona fede e sono certa che ciò emergerà dalle indagini in corso. Ho piena fiducia nell’attività della magistratura e con i miei legali mi sono messa subito a disposizione per collaborare e chiarire ogni dettaglio di quanto accaduto nel più breve tempo possibile».

Autenticità

Non so quanti di voi sono entranti in un reparto di oncologia pediatrica ma vi posso assicurare che è un’esperienza terribile. A 28 anni ci ho trascorso 3 anni. Con un caro amico allenavo la squadra di tuffi della Canottieri Milano. Moreno era un talento e una giovane promessa dei tuffi italiani. A 12 anni si è ammalato di un leucemia. Quattro volte alla settimana dopo gli allenamenti andavamo a trovare lui e i suoi genitori all’Istituto dei Tumori di Milano. 3 anni di calvario dentro e fuori dall’ospedale. Ricordo Claudia una dolce bimba di 8 anni che era nella stanza accanto. Le regali il mio peluche preferito per darle forza e farle compagnia. Claudia è tornata a casa, spero stia bene. Un giorno si sono chiuse le porte di tutte le stanze. Moreno è uscito, ma non è tornato a casa. Il dolore è indescrivibile.

Non credo che Chiara Ferragni abbia mai messo piede in un reparto di Oncologia pediatrica o si sia fermata a guardare i propri figli negli occhi riflettendo su cosa significhi avere un figlio malato. Se lo avesse fatto non avrebbe commesso l’«errore», se lo avesse fatto dopo aver commesso l’errore avrebbe immediatamente capito come agire e il suo video avrebbe avuto un messaggio diverso e un contenuto autentico.

I partner commerciali

L’11 aprile 2018, dopo lo scandalo Cambridge Analytica, Mark Zuckerberg è stato chiamato a testimoniare dinnanzi al Congresso degli Stati Uniti in una situazione di reale crisi dove a rischio vi era la sua licenza di operare e il suo ruolo in azienda. In quel momento al CEO di Facebook i suoi 2,32 miliardi di utenti non interessavano. Gli interessava preservare il suo «freedom to operate» evitando regole che avrebbero messo a repentaglio la sua creatura e rassicurare i suoi investitori e azionisti.

Il problema di Chiara Ferragni ovviamente non sono i suoi follower. Il suo problema sono i partner sui quali conta non solo per «fatturare» ma per mantenere la sua «immagine» e il «luxury lifestyle» che propone come modello aspirazionale ai suoi 30 milioni di follower. L’influencer non spende per questo lifestyle glamour. Le è regalato da compagnie aeree, hotel di lusso, ristoranti, tour operator, produttori di abbigliamento e accessori, ecc. che poi pagano anche un tot a post. Senza questo supporto logistico l’influencer finisce di influenzare.

Aspettiamo per vedere se altri grandi brand di defileranno oltre a quelli che lo hanno già fatto. Per quelli di nicchia ce ne accorgeremo guardano i post su IG.

Il tema legale

La situazione oggi è molto più complicata rispetto a solo qualche settimana fa per non parlare di luglio. Il comportamento di Chiara Ferragni e delle sue due società ha conseguenze sul piano legale, sia civile sia penale. Questo complica moltissimo la gestione perché gli spazi di manovra si riducono e gli avvocati prendono (di solito) il controllo dettando le linee di comunicazione o più spesso il silenzio.

Per concludere…

In una crisi la comunicazione non ti salva. Ti salva la preparazione.

In una crisi il tempo perso non si può mai recuperare.

Più il tempo passa più si riducono le opportunità e gli spazi di manovra.

L’incompetenza nella gestione di crisi gioca brutti scherzi.


ChatGPT

Sotto l’interpretazione dell’immagine generata da ChatGPT per la copertina di questo articolo su prompt TT&A Advisors.

Ecco un’interpretazione artistica della polemica sul pandoro firmato Chiara Ferragni per Balocco. L’immagine raffigura il contrasto tra il marchio di lusso e la semplicità tradizionale, con accenni alla controversia associata.

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