Covid-19 e crisi sistemiche del XXI secolo

Le crisi del XXI secolo sono fatte così: sistemiche, sotterranee, estremamente complesse e difficilmente governabili. Soprattutto se si è mentalmente impreparati e se la gestione di crisi si affida alla continua improvvisazione e alla costante rincorsa degli eventi. Come è stato nel caso della pandemia da Covid-19.

I cerchi della crisi

La crisi pandemica da Covid-19 esplosa nel nostro paese nel febbraio 2019 si è sin dall’inizio iscritta nella categoria delle crisi ipercomplesse del XXI secolo. Non solo crisi sanitaria come si è continuamente raccontato agli italiani. Ma contemporaneamente anche crisi economica, sociale (giovani, anziani, lavoro, salute mentale), della giustizia, del procurement e istituzionale (vedasi il continuo conflitto Stato-regioni sulla gestione pandemica e la questione dei poteri di emergenza).

Una crisi che ha spaziato, e continua a spaziare, territori immensi. Come un sassolino gettato nello stagno, in cerchi concentrici si è espansa per toccare ogni aspetto della nostra società e della nostra vita obbligandoci a navigare in un universo sconosciuto senza punti di riferimento e senza esperienza pregressa.

I cerchi hanno ora raggiunto la politica. Era solo questione di tempo. Il governo è miseramente imploso. Una gestione più attenta della crisi pandemica gli avrebbe forse assicurato una vita più lunga.

La crisi della politica

E’ tuttavia improprio parlare di «crisi di governo». Dal dopoguerra ad oggi i bisticci tra governanti con conseguente caduta di governi è stata una costante della politica italiana. Il termine «crisi di governo» andrebbe quindi derubricato. Con un pò di creatività sono certo che potremmo trovare un termine nuovo per rappresentare questa tipologia di eventi.

Ciò detto siamo oggi in presenza di qualche cosa di molto più profondo rispetto all’implosione di un governo. Siamo d’innanzi a una reale «crisi della politica» come ampiamente messo in evidenza da 12 mesi di pandemia e dalla scelta del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di affidare un incarico esplorativo a Mario Draghi. La politica ha abdicato al proprio ruolo con leader, partiti e movimenti incapaci di sollevare il proprio sguardo oltre i reciproci ombelichi. La decisione del Presidente della Repubblica si ripercuoterà, a prescindere dall’esito delle consultazioni, su partiti e movimenti politici creando fratture interne insanabili.

Le crisi hanno questo effetto, quello di mettere sotto la lente di ingrandimento le organizzazioni rivelandone le debolezze, le paure, l’impreparazione e l’incompetenza. Il problema non è rappresentato da Giuseppe Conte, anche se sicuramente il Presidente del Consiglio ha commesso errori su errori nella gestione di crisi, ma da tutta la nostra classe politica (nazionale e regionale) incapace di lavorare insieme per il bene comune del Paese.

«Una pandemia nella pandemia»

Logicamente al Covid-19 la politica italiana non interessa. E mentre la nostra attenzione si dirotta verso l’attualità politica e il governo che verrà, il virus non si ferma. Anzi. Si presenta in forme ancora più minacciose. E’ notizia di ieri non solo l’identificazione a Varese del primo caso in Italia di Covid-19 nella sua variante sudafricana, ma anche l’identificazione di una nuova mutazione del virus britannico che mette in serio dubbio l’efficacia dei vaccini (non mRNA) attualmente in fase di approvazione.

La prima variante britannica del Covid-19, che circola ampiamente da inizio anno, è molto più contagiosa di quella che ci ha colpito durante il 2020. Le autorità svizzere stimano che possa portare ad un raddoppio dei contagi ogni settimana. Secondo il Consigliere Federale Alain Berset, Capo del Dipartimento federale dell’interno

«siamo confrontati a una pandemia nella pandemia». Attualmente siamo in una situazione simile a quella di inizio ottobre con la differenza che le varianti inglese e sudafricana sono del 40-50% più contagiose. In questo contesto «non è realistico pensare a un massiccio allentamento» delle misure restrittive dopo il 28 febbraio.

Alain Berset, Consigliere Federale, Confederazione elvetica

La vaccinazione non è una cura miracolosa, ma è un elemento importante per uscire dalla pandemia, ha detto Berset. (…) Non si può però affermare che la situazione si sarà normalizzata in estate. Berset non ha voluto fare pronostici, sostenendo che le variabili in gioco sono ancora molte, senza contare eventuali imprevisti, come successo recentemente con l’apparizione delle nuove varianti più contagiose.

Mentre la Svizzera si interroga preoccupata e vuole scongiurare una terza devastante ondata dopo una gestione della seconda in autunno che non è stata esattamente all’altezza, l’Italia in preda all’arcobaleno delle zone sembra ignorare i potenziali pericoli futuri. Eppure ancora una volta i segnali ci sono.

Forse non potrebbe essere altrimenti. Impensabile infatti tenere ancora la popolazione italiana agli «arresti domiciliari». Questo dovrebbe tuttavia far riflettere ancora una volta sulle scelte degli ultimi 12 mesi.

Il problema dei vaccini

Ci è stato ampiamente spiegato che in assenza di terapie efficaci solo il vaccino ci avrebbe permesso di ritrovare una vita «normale». La realtà ci sta dicendo qualche cosa di diverso.

Innanzitutto il piano vaccinale messo a punto è troppo ambizioso e non ha preso nella dovuta considerazione il verificarsi di situazioni contingenti (problemi di produzione, ritardi nelle consegne, potenziale inefficacia sulle varianti, inefficacia su alcuni segmenti della popolazione).

I produttori hanno annunciato ritardi e l’impossibilità di consegnare le dosi ordinate nei tempi previsti e a poco sono valse le esternazioni minacciose del Commissario Arcuri, e del Presidente del Consiglio Conte, che dovrebbero essere consapevoli del fatto che un mezzo miracolo è già stato compiuto nell’avere a disposizione dei vaccini. Non è un problema solo italiano, basta vedere i pasticci combinati dalla Commissione Ue, ma il fatto che altri fanno peggio non può continuare ad essere una scusa.

Vi è poi il problema delle varianti e dell’efficacia dei vaccini sulle diverse fasce di età della popolazione. Regna maestra la confusione sul vaccino di AstraZeneca/Oxford che le autorità di regolamentazione dei diversi stati Ue suggeriscono non venga utilizzato negli over 55. Vi è poi l’incognita varianti. AstraZeneca/Oxford ha ad esempio avviato un nuovo trial clinico per verificare l’efficacia di una seconda dose di un vaccino diverso.

Stiamo correndo una «Ironman»

Se qualcuno pensa che con il cambio nei coloro dell’arcobaleno stiamo vedendo la luce in fondo al tunnel farebbe meglio a ricredersi. La metafora è fondamentalmente errata. Da un anno stiamo correndo una maratona. Anzi. Più che una maratona, un «Ironman» di triathlon. Ed è questo che dovremmo tenere bene in mente. Il traguardo è ancora lontano. Bene ricordare le parole del Capo dello Stato, l’unico che sembra parlare chiaro:

Sotto il profilo sanitario, i prossimi mesi saranno quelli in cui si può sconfiggere il virus oppure rischiare di esserne travolti. (…) Lo stesso vale per lo sviluppo decisivo della campagna di vaccinazione, da condurre in stretto coordinamento tra lo Stato e le Regioni.

Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica italiana
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