Incisivo articolo pubblicato dal Financial Times. Gestione di crisi all’italiana: la teoria del complotto.
Difficile districarsi nella “tempesta della pedofilia che si addensa sul Papa e la Chiesa Cattolica”, come la definisce oggi nel suo editoriale il Vaticanista del Corriere Luigi Accattoli. L’unica cosa certa è che di tempesta si tratta. In questo contesto è dunque interessante leggere l’articolo “A cross to bear” a firma di Guy Dinmore, corrispondente da Roma dell’FT, pubblicato sull’edizione Week-end che – sulla tempesta pedofilia – accusa il Vaticano di aver scelto una strategia di comunicazione simile a quella di Silvio Berlusconi: ovvero quella complottista. Tesi questa accreditata dal vaticanista del Corriere che tuttavia non sottovaluta la portata della crisi titolando il suo editoriale “Il soccorso al Pontefice. Da Sodano a Martini a Scola: basterà?”.

Il tema è di quelli che non può che dividere l’opinione pubblica e lungi da me l’idea di suggerire possibili approcci alla gestione di questa importante crisi. L’articolo dell’FT e gli eventi permettono tuttavia di fare alcuni considerazioni.
Il Papa come Berlusconi?
La riflessione del corrispondente dell’FT può essere condivisa o meno ma nasconde comunque un fondo di verità. La gestione di crisi è fortemente influenzata dalla cultura prevalente. Considerato che la cultura italiana non si basa sulla trasparenza e l’assunzione di responsabilità – presupposti di un efficace gestione di crisi nel mondo anglosassone – l’accostamento tra il Pontefice e il nostro Primo Ministro è meno campato in aria di quanto possa inizialmente apparire.
“La gravità dello scandalo della pedofilia tra le fila del clero cattolico è fuori discussione ed è stata riconosciuta in più occasioni da Benedetto XVI, che ha parlato di «vergogna» e ha invitato alla «penitenza»” scrive Luigi Accattoli. Ma si tratta di atti sufficienti? A mio umile avviso no. Agli occhi dell’opinione pubblica straniera e forse di una buona fetta di quella italiana, il Papa fino ad oggi non si è assunto la responsabilità, come per altro auspicato anche da alcuni dei Vescovi più esposti, per i comportamenti pedofili di alcuni sacerdoti né ha compiuto atti formali per allontanarli dalla Chiesa. Molti (soprattutto i giornalisti esteri) auspicavano un “mea culpa” in occasione della benedizione Urbi et Orbi di domenica scorsa. Certamente la trasmissione in mondovisione sarebbe stata un’ottima opportunità di comunicazione.
Il “mea culpa” sarebbe stato un primo importante passo anche se nella gestione di crisi le parole servono a poco: quello che conta sono atti concreti e indicazioni circa quello che si è intenti a fare per evitare che simili episodi si possano ripetere.
Sbagliato a mio modesto avviso celarsi dietro quel “insultato non rispose con insulti”, rivolto dal Cardinale Decano Sodano a Papa Ratzinger prima della messa di Pasqua e che tuttavia cattura con tutta probabilità l’essenza della strategia di comunicazione adottata dal Vaticano.
Serrare le fila. Basterà?
In una situazione di crisi è importante che l’organizzazione serri le fila e si allinei. In questo il Vaticano sembra, secondo quanto scrive Luigi Accattoli, muoversi nella giusta direzione con “una reazione corale del mondo ecclesiastico che dovrebbe avere dei prolungamenti e delle rispondenze anche nel mondo laico”.
La ricerca di “alleati” è sempre una delle strategie che devono essere adottate in una situazione di crisi. Ma basterà questo, come si interroga lo stesso Accattoli, ad arginare lo tsunami?
L’accanimento dei media, la teoria del complotto
E’ abbastanza ironico leggere come molti dei vaticanisti italiani denuncino nei loro articoli l’accanimento con cui i media, prevalentemente quelli anglosassoni, propongono sempre nuove “rivelazioni”. Nell’era di internet possiamo attenderci uno stillicidio di rivelazioni se è vero che la denuncia di alcuni può catalizzare la denuncia di molti altri.
Radio Vaticana controbatte all’attacco mediatico citando un rapporto governativo statunitense sugli abusi secondo cui “per oltre il 64 per cento sono commessi da genitori, parenti o conviventi, dunque all’interno delle relazioni familiari; nelle scuole del Paese quasi il 10 per cento dei ragazzi subisce molestie”. Per quanto riguarda i sacerdoti cattolici coinvolti il rapporto datato 2008 stima che “siano meno dello 0,03 per cento” sul totale dei criminali che hanno commesso abusi su minori. Un messaggio che appare, nelle attuali circostanze, una cartuccia a “salve”.
A corredo dei dati giudico un errore il commento del promotore di giustizia della Congregazione della Dottrina della Fede, padre Charles Scicluna, che su Avvenire ha rassicurato circa la “marginalità” del fenomeno nella Chiesa Cattolica. Considerato che stiamo parlando della Chiesa Cattolica, l’opinione pubblica si attende dal clero comportamenti esemplari.
La tesi del complotto, argomento forte nell’ambito della difesa Vaticana, emerge chiaramente nell’articolo pubblicato da La Stampa a firma Salvatore Izzo.
Tuttavia anche se di complotto si trattasse, un autorevole “mea culpa” del Pontefice avrebbe forse contribuito a tagliare la testa al toro e a sgonfiare il circo mediatico.
Un Papa poco comunicativo ed empatico
Certo non sarebbe stato facile per nessuno succedere al Pontificato di Papa Paolo Giovanni II. Ma nell’era dei Social Media e della comunicazione Papa Ratzinger appare troppo distante e freddo non solo da quanti hanno subito abusi in seno alla Chiesa ma anche dall’opinione pubblica in genere.
Certo il Papa è votato ad una missione più alta che sfugge alla maggior parte dell’opinione pubblica. Ma le parole profuse la domenica delle Palme dal Pontefice creano a mio avviso una distanza siderale e aprono dal punto di vista della comunicazione il fianco: “Gesù cammina avanti a noi, e va verso l’alto. Egli ci conduce verso ciò che è grande, puro, ci conduce verso l’aria salubre delle altezze: verso la vita secondo verità; verso il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti; verso la pazienza che sopporta e sostiene l’altro”.
Non devono quindi sorprendere le reazioni dei media internazionali a quello che viene interpretato come un tentativo di minimizzare la portata della vicenda.
E’ inoltre bene ricordare che nella comunicazione di crisi il “rumore di sottofondo” deve essere comunque gestito e se possiamo accettare che il Papa viva – come sottolinea John Allen citato dall’FT – in un’altra dimensione, lontano dalla tempesta che ha intorno a sé, ci aspettiamo invece un’azione più incisiva da parte di quanti sono chiamati a gestire la comunicazione del Pontefice e del Vaticano.
L’empatia è un altro elemento fondamentale della gestione di crisi. Anche in questo caso mi sembra un elemento assente nella strategia di comunicazione adottata dal Vaticano.
Joaquìn Navarro Vals vs Padre Federico Lombardi
Pur non essendo un vaticanista mi sembra che la scelta di Papa Benedetto XVI di affidare la sala stampa e quindi la sua comunicazione al Gesuita Padre Federico Lombardi non sia stata una delle scelte più azzeccate del suo Pontificato soprattutto se confrontato con il suo predecessore Joaquín Navarro-Valls. Non solo stili ma anche una visione del mondo e un respiro internazionale profondamente diversi. In una situazione come quella in corso, il consiglio di un portavoce laico, “esterno” alle logiche Vaticane sarebbe forse stato più utile per fronteggiare efficacemente una crisi che è fondamentalmente internazionale.
I costi della crisi
Ogni crisi ha un costo e il conto di quella Vaticana rischia di essere salato. Secondo l’autorevole quotidiano britannico lo scandalo pedofilia è già costato alle diocesi nord americane 1,1 milardi di dollari in risarcimenti. In un sondaggio condotto da Stern in Germania e citato dall’FT, quasi un quinto dei cattolici del paese (25M) si sono dichiarati incerti sul loro futuro in seno alla Chiesa Cattolica. Sempre secondo l’FT i vertici della Chiesa in Irlanda sarebbero a rischio “implosione”.
Incalcolabili invece al momento i costi in termini di credibilità e future vocazioni.