Gestione e comunicazione di crisi: qualche riflessione sull’uso di Twitter

Non vi è dubbio che l’evoluzione delle piattaforme di comunicazione sociale o “social media”  ha, nel corso di pochi anni, profondamente trasformato l’approccio alla comunicazione e gestione di crisi. I media sociali infatti, pur non avendo modificato la metodologia relativa alla comunicazione di crisi che resta sostanzialmente invariata, hanno introdotto elementi di complessità e di velocità impensabili solo 5 anni fa.

La crescita dei media sociali impone a chi si occupa di comunicazione e gestione di crisi un’approfondita riflessione “ex ante” sui rischi e sulle opportunità offerte da ciascuna piattaforma, un focus su quali eventualmente utilizzare, su come utilizzarle nel corso delle diverse fasi della crisi, sulle risorse umane necessarie per gestirle efficacemente, sull’integrazione delle strategie di comunicazione sui media sociali nel contesto più ampio delle strategie di crisis management e crisis communication.

Prendendo spunto dall’attacco terroristico perpetrato in occasione della Maratona di Boston, desidero condividere qui alcune riflessione sull’uso di Twitter in situazioni di crisi e di emergenza e su come stanno cambiando le dinamiche relazionali su questa piattaforma.

Twitter è ufficialmente nato nel luglio 2006 e si è rapidamente affermato come uno dei principali media sociali. Oggi cresce al tasso di 1 milione di nuovi account al giorno, 11 ogni secondo. Non solo. Twitter ha contribuito in maniera determinate all’affermazione del “citizen journalism” ovvero la capacità di qualsiasi individuo dotato di uno smartphone di testimoniare in tempo reale eventi che si verificano sotto i suoi occhi. Molti osservatori hanno quindi proclamato la morte delle agenzie stampa tradizionali soppiantate per velocità da milioni di individui in grado di documentare, con parole e immagini, eventi  direttamente dal campo e in tempo reale.

Per rispondere a questa evoluzione i principali media, dalle agenzie stampa alle televisioni, hanno attivato modalità di ascolto e interazione con l’obiettivo  di intercettare i testimoni sul campo e integrare i loro racconti nello story telling mediatico.

Sul lato opposto, gli stakeholder istituzionali si sono organizzati nel tentativo di “attivare la rete” alla ricerca di informazioni vitali ai fini delle indagini (per es. Twitter #BostonManhunt) o della messa a fuoco del quadro operativo.

Se fino a ieri consideravamo le agenzie stampa “il brodo primordiale dell’informazione” oggi non vi è dubbio che il brodo origina su  Twitter dove, nel caso della Maratona di Boston si sono riservate le testimonianze di quanti si trovavano per strada incluse le foto, le conversazioni riservate trasmesse sui canali della polizia intercettate con comuni App per iPhone, le comunicazioni ufficiali delle autorità. Ma se ieri il brodo primordiale era mediato dalla professionalità del giornalista chiamato a verificare le fonti prima di pubblicare le notizie, oggi la disintermediazione dell’informazione e l’evoluzione tecnologica implicano una grande rapidità, accompagnata spesso da una quasi totale mancanza di verifica. Segnalo qui l’interessante articolo di Emily Banks su Mashable che affronta molti interessanti aspetti.

Non vi è dubbio che ci troviamo nel mezzo di quello che nel 1997 (!) David Shenk chiamava “data smog”. Secondo Shenk l’innovazione tecnologica e la rete avrebbero messo a disposizione un volume incredibile  di informazione – solo Twitter genera 175 milioni di tweet al giorno – rendendo molto difficile se non impossibile per il comune cittadino distinguere tra fiction e realtà. Sempre secondo Shnek, la comunicazione sarebbe diventata istantanea, la conoscenza abbondante, e le nostre vite sarebbero state condizionate dall’esigenza di gestire la crescente mole di informazioni disponibili. Ed è proprio questo incredibile volume di informazioni che Shenk chiama “data smog” e che a suo avviso rischia di compromettere la nostra performance e aggiunge stress alle nostre vite.

Una visione profetica. In una situazione di crisi i nostri comportamenti sono da un lato caratterizzati dalla spasmodica ricerca di informazioni ma, nel contempo, fatichiamo a gestire la velocità e il volume delle stesse. Un esempio: durante l’annuncio da parte del Presidente Barack Obama della morte di Osama bin Laden nel 2011 Twitter ha registrato 306,000 tweet al minuto ovvero 5,100 tweet al secondo!

In questo contesto è quindi più che mai necessario per aziende e istituzioni accreditarsi sulla piattaforma sociali, in questo caso su Twitter, come fonte autorevole di informazione. Quello che la Maratona di Boston insegna infatti è che immersi nello smog delle informazioni gli utenti del servizio ricercano le informazioni presso quelle che a loro giudizio sono le istituzioni, gli individui o le organizzazioni che considerano “autorevoli” o che nel contesto specifico acquisiscono autorevolezza.

L’autorevolezza su Twitter si acquisisce ben prima di affrontare una crisi. Un buon piano di preparazione alla gestione di crisi non può infatti prescindere dall’organizzazione della propria presenza sulle diverse piattaforme sociali con strategie ad hoc. Ciò premesso è opportuno sottolineare i 7 fattori principali che contribuiscono, nell’ambito della comunicazione di crisi, ad affermare la propria autorevolezza su Twitter:

  • la centralizzazione dell’informazione – un problema molto comune in Italia soprattuto per quanto riguarda il mondo istituzionale. Parlare con una sola voce è di fondamentale importanza al fine di evitare incongruenze e contraddizioni nelle comunicazioni che distruggono la credibilità dell’organizzazione
  • la frequenze dei twit – contribuire regolarmente al flusso informativo dandosi scadenze precise, trovando il giunto punto di equilibrio tra informazioni poco e troppo frequenti
  • il contenuto informativo dei twit – portare “valore” alle conversazioni condividendo le informazioni di cui si è in possesso e che sono di interesse per la comunità
  • il contenuto emotivo dei twit – evitare la freddezza burocratica, dimostrare considerazione per gli eventi e per quanti vi sono coinvolti
  • il numero di “opinion leader” che seguono – per essere autorevoli bisogna essere “seguiti” da persone considerate “autorevoli”
  • la partecipazione – ascolto delle conversazioni e correzione in tempo reale di informazioni non corrette o false
  • la capacità di interagire – partecipazione al dialogo

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