Crisis management: lo strano caso del Maggiore Hasan.
A quando ci è dato capire, dieci giorni fa il Maggiore Nidal Malik Hasan, americano di origini palestinesi, ha aperto il fuoco su una dozzina di persone nella base dell’esercito di Fort Hood in Texas al grido “Allahu Akbar” (Dio è grande).
La strage avrebbe potuto essere prevenuta? La risposta in questo caso è certamente sì, se i corretti meccanismi fossero stati implementati. Una situazione di crisi è infatti sempre caratterizzata da prodromi. La sfida per le organizzazioni e per le aziende è quella di implementare adeguati sistemi di monitoraggio attraverso i quali sia identificare i prodromi di una possibile crisi sia far risalire le informazioni a quanti sono preposti a prendere le decisioni.
A mio giudizio la tragedia di Fort Hood si è potuta verificare per due motivi: l’incapacità di cogliere i prodromi e l’assenza di meccanismi di debrief che, nel caso di uno psicologo impegnato con soldati impegnti in Iraq ed Afghanistan avrebbero logicamente dovuto essere parte delle procedure operative standard adottate dall’esercito.
Vediamo nel dettaglio i prodromi della vicenda così come raccontati dall’articolo pubblicato oggi dal Financial Times. Nel giugno 2007 il Maggiore Hasan, nel corso di un intervento di natura prettamente medica presso l’ospedale militare Walter Reed, argomentò animatamente come in base agli insegnamenti del Corano, soldati americani di fede islamica avrebbero dovuto essere esentati dall’uccidere soldati di fede islamica di altre nazionalità. Il primo campanello di allarme. Pare poi che il Maggiore intrattenesse, o avesse intrattenuto in passato, una fitta corrispondenza con l’Imam jihadista Yemeno-Americano Anwar al-Awlaki, un personaggio che secondo gli esperti predica la necessità per i cittadini americani di fede islamica di intraprendere una jihad contro il loro stesso paese. Un secondo campanello di allarme.
Tuttavia anche se questi campanelli di allarme non fossero stati colti, bisogna chiedersi come sia possibile che l’esercito americano non preveda delle sessioni di debrief per gli psicologi impegnati a fornire supporto ai soldati di ritorno dalle guerre in Iraq e Afghanistan. Dai rapporti dei media americani appare evidente che il Maggiore fosse frustrato dal trattamento riservatogli dall’esercito perchè di fede islamica, che si opponesse alle due guerre in corso e che soprattutto fosse rimasto sconvolto dalla notizia della sua prossima missione in quei territori. Se una procedura di debrief fosse stata implementata come il buon senso suggerirebbe, sicuramente qualcuno si sarebbe accorto della situazione psicologica in cui versava il Maggiore Hasan.
Ma anche in assenza dello specifico profilo psicologico del Maggiore Hasan è indubbio che nell’ambito degli scenari di crisis preparedness si sarebbe dovuto prevedere un atto di follia da parte di uno psicologo chiamato quotidianamente a dare supporto ai reduci. In questo contesto sarebbe quindi interessante capire se Fort Hood avesse un piano di crisis management o meno, e quali scenari di crisis preparedness fossero stati preparati. Resta comunque il fatto che l’assenza di una procedura fondamentale come il debrief degli psicologi impegnati nella base, o il suo mancato rispetto, ha probabilmente prevenuto le autorità della base di Fort Hood dal cogliere per tempo i prodromi della tragedia e di conseguenza di evitarla.
Segnalo comunque la lettura dell’articolo dell’FT anche per un interessante approfondimento su “islam” e “islamismo”. Questo, secondo il giornalista, sarebbe il fattore che ha influenzato la condotta dei superiori o dei colleghi nei confronti del Maggiore Hasan.
Concludo questo post segnalando un nuovo interessante trend mediatico legato alla vicenda: la ricostruzione della vita del Maggiore Hasan attraverso le immagini.