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Crisi BP: enorme il costo della mancanza di preparazione

Chiuso il pozzo Macondo, è possibile tracciare un primo bilancio della pessima gestione di crisi da parte di BP Molto si è scritto e si scriverà ancora sulla pessima gestione di crisi da parte di BP che nel corso degli ultimi 100 giorni ha dimostrato al mondo quanto fosse impreparata a gestire un potenziale disastro come quello verificatasi nel Golfo del Messico. Non solo. La multinazionale petrolifera è riuscita ad aggiudicarsi “l’Oscar” per il più grave disastro ambientale mai verificatosi nel continente americano strappando la preziosa statuetta ad un’altra società petrolifera, la Exxon Mobil, che a grazie alla totale incompetenza dimostrata nella gestione del disastro della Exxon Valdez in Alaska l’aveva detenuta per ben 22 anni (!). Il caso BP dimostra ancora una volta che una cattiva gestione di crisi, spesso imputabile all’improvvisazione e alla mancanza di un’adeguata preparazione, comporta oneri - finanziari e di altra natura - ingenti che possono anche portare anche al fallimento dell’impresa.  Ecco quelli sostenuti dalla multinazionali britannica: Oneri finanziari

  1. -costituzione di un fondo da 32,2 miliardi di dollari per i risarcimenti e gli interventi di bonifica di cui 2,9 miliardi già spesi al 28 luglio; 4 miliardi in potenziali multe da parte delle autorità USA; 8 mld per le operazioni di bonifica; 20 miliardi per i risarcimenti

  2. -cessione di asset per 30 miliardi di dollari per far fronte al fondo di cui sopra - ovvero circa il 10% degli asset complessivi dell’azienda

  3. -annuncio della più importante perdita trimestrale nella storia industriale britannica (17 miliardi di dollari)

  4. -perdita di 70 miliardi di dollari di valore dell’azienda rispetto alle quotazioni del 28 aprile scorso

  5. -sospensione del dividendo agli azionisti (tra i quali è bene ricordarlo vi sono molti fondi pensioni con evidenti ripercussioni sociali) Altri oneri

  6. -avvio di un’indagine da parte delle autorità USA sulle politiche di sicurezza adottate da BP che coinvolge tutte le attività dell’azienda negli Stati Uniti incluso il riesame di casi come ad esempio quello relativo all’esplosione del 2005 in un impianto di raffinazione in Texas (15 morti)

  7. -rapporto con l’Amministrazione USA compromesso e possibili sanzioni incluso il divieto di operare negli USA qualora venisse provata la “negligenza”, evento che di fatto sancirebbe l’uscita di BP dal gruppo delle “major” del petrolio

  8. -possibile target di scalata ostile da parte di un concorrente

  9. -dimissioni di Tony Hayward daCEO della compagnia (nella foto)

  10. -esposizione all’opionione pubblica di una cultura aziendale orientata al massimo profitto, alla scarsa attenzione alla sicurezza e affidabilità della attività opertive della società

  11. -enorme danno alla reputazione, non attualmente stimabile (sarà interessante vedere dove BP si posizionerà l’anno prossimo nella speciale classifica di Forbes rispetto al 5o posto di quest’anno nel settore petrolchimico) E tanto visibilità su YouTube che certo non potrà contribuire alla reputazione aziendale.

 
 
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